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      Giunto al portone, scelsi quella tal chiave maestra che già avevo in pratica, aprii, e poi entrato richiusi: e salito per lo scalone, che ripercoteva il rumore dei miei passi, traversai quelle sale che di giorno non m'erano sembrate tanto vaste e misteriose, e giunsi in camera dove m'ero già fatto e preparato il letto.
      Riflettendo ch'io non avevo nemici in paese, che l'arnese nel quale ero comparso, non indicava che io portassi con me filze di perle, ovvero somme da indurre in tentazione nemmeno un villano; considerando che le apparizioni, le streghe ed i folletti, purtroppo non entravano nel mio credo (dico purtroppo, perché il mondo sarebbe ben altrimenti divertente se ci fossero), mi pareva di poter calcolare su una nottata tranquilla, senza che occorresse prendere nessuna precauzione. Ma siccome a questo mondo non sempre i fattori vedono con piacere disprezzati gli spiriti abitanti nella casa del padrone; siccome a questo mondo ci sono, se non altro, i dilettanti di burle, ora piú ora meno discrete; e siccome il vecchio proverbio dice "chi si guarda si salva", cosí presi le disposizioni che sempre ho usate ne' luoghi sospetti, e che consiglio come ottime quanto facili.
      V'erano certe grandi sedie di cuoio con enormi spalliere; ne posi una alla porta, alla quale s'appoggiava co' due piedi davanti un poco alzati dal pavimento, perché rimanesse in bilico, e ad ogni minimo urto dovesse rovesciarsi indietro. Era uno svegliarino, le prometto, da equivalere ad una cannonata.
      Sul mio letto, al posto della sposa, collocai il mio schioppo carico, e soffiato sul moccolo di sego della lanterna, non passarono cinque minuti che già ero addormentato.
      Ma il mio sonno fu breve. La quiete profonda della notte fa sembrar maggiori tutti i rumori, come ognuno può aver provato.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890