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      L'uomo del lino era un antico birro, e mi veniva raccontando le vicende della sua vita. Doveva star quasi sempre nell'acqua, ed era una compassione a vedere le sue gambe tempestate di sanguisughe, che si veniva strappando a misura che le sentiva pungere.
     
     
     
      CAPITOLO V
     
      Passato certo tempo, la solitudine mi cominciava a pesare; come accade a tutti coloro che hanno mobilità d'immaginazione. Quel ritorno in castello la sera colla lanterna ed il mazzo delle chiavi, quegli echi sonori dello scalone e delle vòlte, quelle vecchie figure sforzesche, magistrati in toga, capitani, cardinali coi baffi (allora non c'era anima che li portasse), quelle faccie severe che parevano guardarmi d'alto in basso e di malocchio, avean finito per seccarmi e mettermi malinconia. Ebbi altresí in quel tempo l'animo percosso da un triste caso. Una donna che m'aveva dimostrata vera affezione, e che partendo da Roma avevo lasciata colla stola a' piedi, dopo poco tempo era morta. Si dubitò di veleno, per opera di tale che sembra non avesse altro motivo se non un amor respinto. Non entro in particolari su questi fatti, non dovendo, secondo il mio disegno, parlar di vicende di tal genere.
      La notizia del triste caso mi giunse in quell'isolamento, le ultime sue parole alle quali non avevo dato il peso che ebbero fatalmente: "Addio, io esco dal mondo, e d'una cosa sola mi dolgo...." Queste parole mi risalivano dal cuore continuamente all'orecchio; e quantunque io non avessi, per quanto mi sembra, rimproveri da farmi, mi suonavano come un lamento....
      Oh come son terribili i lamenti dei morti! Impassibili a fronte di qualunque pentimento, sordi ad ogni spiegazione, ad ogni discolpa, che non si stancano mai, né si mutano, né danno pace!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Roma