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      Il cavalier Pacetti, andato alla subasta di quelle robe, mediante sette o ottocento scudi, si portò a casa quel frammento, al quale mancavano braccia e gambe quasi per intero, e neppur son certo che avesse la testa.
      Collocatolo nel suo studio in via Sistina, si risolse farne il totale ristauro. Modellò in creta le parti mancanti, e ne cavò quella figura dormiente, che è conosciuta, in arte, sotto nome del Fauno de' Barberini.
      Oltre la fatica durata, ebbe poi la difficoltà, quanto all'esecuzione, di trovar un marmo compagno di grana perfettamente uguale; e dovette per questo distruggere un'altra statua greca d'un merito secondario onde adoprarne il marmo.
      Cosí con lunghi lavori e molte spese (la statua riescí maggior del vero) condusse a fine la sua opera, lodata dal Canova e dai buoni giudici del tempo, come ristauro, ove l'antico ed il nuovo erano in perfetta armonia, e di merito, se non pari, almeno non discordante.
      Intanto era passata l'epoca napoleonica, cessata l'occupazione francese, tornato il Papa, tornata la carità, la giustizia, la felicità, l'abbondanza, e tutte le tenerezze delle restaurazioni e del governo pretesco.
      Da ogni parte piovevano forestieri a Roma; e non ricordo a quale di essi (ad un principe tedesco se non erro) il cavalier Pacetti vendé il suo Fauno molte migliaia di scudi.
      Quando siamo all'incassare e spedire la statua, eccoti un fermo. Il Fauno non può uscire dallo Stato.
      E perché?
      Perché gli agenti della casa Barberini, al capo della quale sarà stato ignoto o trasformato il fatto, avevano impetrato un motuproprio, col quale si ordinava al cavalier Pacetti di restituire la statua come cosa soggetta a fidecommisso, offrendogli i sette o ottocento scudi della prima spesa, piú quel prezzo del suo ristauro che sarebbe fissato per mezzo d'arbitri esperti.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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