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      A conti fatti, il Romano ha ragione; perché in ogni tempo ed in ogni sistema, passato, presente e futuro, il pesce grosso piú o meno mangia il pesce piccolo. Ma m'è sembrato però scorgere in questo sentimento, come in parecchi altri caratteri della società romana presente, tracce evidenti del passato.
      I grandi (prova il Monte Sacro e Menenio Agrippa) d'allora insino ad oggi, sempre a Roma hanno soverchiato il popolo. Come non gli sarebbe entrato oramai nel cervello che questo suo malanno è senza rimedio?
      Mi ricordo a questo proposito quali furono le idee di un cacciatore di Marino, castello della montagna, dove, come dirò or ora, passai due stagioni a studiare.
      Quand'io lo conobbi, era vecchio e mi parlava di fatti anteriori alla rivoluzione. Si trattava d'un certo suo bracco famoso, il miglior can da caccia dell'Agro romano, col quale aveva trionfato di celebri rivali, e compiute cento venatorie bravure.
      - Che volete? - mi diceva - un giorno non lo vedo piú.... me l'avevano rubato.... gli volevo bene piú ch'a un fratello.... e proprio mi si levò il lume dagli occhi. Do di mano all'archibuso, e via per campagna a tutti i casali, a tutti i procòi, alle tenute....; se trovavo chi me l'aveva rubato, era certo.... l'ammazzavo. Càpito a Pantano di Borghese.... erano fuori i signorini. Appena mi presento sulla porta del cortile, eccotelo là!.... lo vedo tra le gambe de' guardiani, e lui s'accorse, povero animale, ch'ero io, e diede uno slancio, ma lo tennero....; e io voltai strada e tornai a Marino.
      - Ma come? - risposi - non ricorreste al Principe, o al Governo? - Che vuoi ricorrere! - e mi scuoteva il capo come dire: da che mondo esci, o imbecille? - L'aveva voluto Borghese, era finita.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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