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      Per i secondi è il momento invece di non dormire, e star con tanto d'occhi. Ma non è da scordarsi il poco usato secondo titolo del Barbiere di Siviglia.
      Le precauzioni piú sono giustificate e piú sono inutili.
      Stante il modo col quale sono ordinate (in italiano di giornale organate) le mascherate, è quasi impossibile sapere quello che v'accade.
      Generalmente s'ha l'idea che una donna mettendosi in maschera, non trascuri per questo di aggiustarsi meglio che può. Per non essere riconosciuta non occorre avere né la gobba né un piede da mandarino. Ma a Roma in carnevale si pensa altrimenti. Una donna si trasforma in un fagotto, in uno scalda-panni, e non deve aver piú forma umana quando va (o andava) a sedere durante il corso sullo scalino di Palazzo Ruspoli.
      Quello scalino, ora scomparso, era un marciapiede lungo il Caffè Nuovo, alto circa 70 centimetri dal piano del Corso. Su di esso stava una fila di sedie di paglia, che venivano ad occupare le signore mascherate. La gente che passeggiava davanti allo scalino, si trovava cosí ad averle ad un'altezza infinitamente comoda, per far conversazione piú o meno intima e segreta, secondo le disposizioni delle parti.
      È chiaro che v'era un solo ostacolo da superare, a chi desiderasse aver un colloquio con una signora invisibile il resto dell'anno; riconoscerla allo scalino.
      Mi ricordo in questo genere aver eseguito in certa occasione un vero tour de force di diplomazia. Mi trovavo appunto con un gran desiderio di parlare un po' con comodo con una signora, alla quale non ero presentato. Riuscii ad essere informato che volendo il giovedí grasso andare al famoso scalino, cercava un mantello da uomo, tondo, senza maniche come usavano allora; e tanto m'andai ingegnando, che riuscii a farle giungere nelle mani e scegliere il mio, senza che sapesse di chi fosse.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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