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      Rossini li mette subito in musica, ce li fa provare e riprovare, e finalmente si fissa d'andare in scena il giovedí grasso. Fu deciso che il vestiario al disotto fosse di tutta eleganza, e disopra coperto di poveri panni rappezzati. Insomma una miseria apparente e pulita.
      Rossini e Paganini doveano poi figurare l'orchestra, strimpellando due chitarre e pensarono vestirsi da donna. Rossini ampliò con molto gusto le sue già abbondanti forme con viluppi di stoppa, ed era una cosa inumana! Paganini poi secco come un uscio, e con quel suo viso che pareva il manico del violino, vestito da donna, compariva secco e sgroppato il doppio.
      Non fo per dire, ma si fece furore; prima in due o tre case dove s'andò a cantare, poi al corso, poi la notte al festino.
      Ma io ne' divertimenti fui sempre amante del bel gioco dura poco, ed il festino lo feci a letto.
     
     
     
      CAPITOLO VI
     
      S'avvicinava primavera. Nell'inverno, con quella maledetta passione che non mi lasciava requie, avevo lavorato piuttosto che poco, inutilmente. Lo sforzo poteva servire per starmene tante ore nello studio; ma ad impiegarle utilmente non c'è sforzo che valga.
      Però mi lodo di non essermi abbandonato alla corrente del tutto, e d'aver sempre tentato di prenderla di petto.
      Ora però mi veniva innanzi una piú terribile prova. Gli altri anni lasciavo Roma in maggio, fino ai Santi. O come si faceva nel mio stato a partire?
      Pure decisi, stato o non stato, d'andarmene come il solito, e cosí feci.
      Dio solo sa le torture d'inferno che soffersi!
      M'ero comprata una cavalcatura di campagna assai competente, coll'armatura (harnachement) de' vaccari; cioè sella alla vacchereccia cogli arcioni alti, capezzone di cuojo largo un palmo, e poi tutto il bagaglio in armonia: bisacce, cappotto di panno scuro ricamato di seta verde, mazzarella ossia pungolo, e, corrispondente al resto, un vestiario di velluto in cotone, ad uso della gente di campagna.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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