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      E siccome il sarcofago era alto da terra piú di due metri, mi ricordo che il medico gli faceva la visita su un pezzo di scala a piuoli, che serviva per salire in fienile.
      Questo poveraccio campava di quel poco che guadagnava col sor Checco, mentre la sua smania (sulla quale ognuno lo burlava) sarebbe stata di campar del suo.
      Un giorno viene in mente al crudel padrone di dargli ad intendere che era ad un tratto diventato ricco. Per questo comincia col regalargli certi numeri del lotto - sicuri - e Stefanino raggranella certi pochi baiocconi riposti per i casi impreveduti, e si decide a fare una gran giocata. Passa un giorno, passa un altro di timore, speranze e palpiti; finalmente arriva quello dell'estrazione; ed eccoti stampati sull'imposta del botteghino per l'appunto i cinque numeri giocati da Stefanino, che quando li vide l'ebbero a far cascare tramortito.
      Corre a casa pazzo affatto, salta addosso al sor Checco, alla sora Maria, e a tutti di casa, gridando, ridendo, strepitando, piangendo, abbracciando, baciando dove piglia piglia, finché, quando Dio volle che riavesse il fiato, annunziò che aveva vinto, che era ricco, che voleva diventare lo meglio paino di Marino, ecc. ecc. Il sor Checco gli diceva: - Dunque non vuoi piú star con me? - e l'altro: - Checco mio, questo non te lo prometto: - e faceva cento castelli in aria per la sua nuova esistenza.
      Il lettore ha già capito che il sor Checco s'era accordato col prenditore del botteghino del lotto, che il paese sapeva la burla, e vi teneva mano; e già immagina l'ultima scena della commedia. Difatti l'indomani il felice Stefanino, vestito di nuovo (ché già avea debiti in giro), montato sulla cavalla del sor Checco il quale gliel'aveva imprestata, non trovando conveniente che un tal milionario andasse a piedi, era corso in Albano capoluogo ove gli si doveva pagare la vincita.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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