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      - Siamo intesi.
      I canneti sono grandi e non folti al punto che tra canna e canna non si trovi il passo. Ma quando ognuno de' combattenti arriva al suo limite, come sapere se il nemico già vi sia, e dove sia? Bisogna cercarlo quasi alla cieca, poiché la vista non penetra pel folto delle foglie.
      Si può immaginare quante peripezie offra un simile incontro. In generale vi rimangono tutti e due, come è quasi inevitabile.
      Accadono altresí sfide di molti; ed una ne vidi in una vigna, nella quale tre contro tre, datosi l'appuntamento s'incontrarono con coltelli e schioppi. Si sflagellarono molto bene, eppure nessuno morí. Hanno il cuoio che resiste, costoro.
      Talvolta queste baruffe s'accendono casualmente in paese. Dirò ancora questa e poi basta.
      Un giorno verso sera si sentí levar un rumore giú in piazza: gridi, spari, trambusto. Noi si stava a cena. Virginio ed io ci alziamo, si dà di mano alle nostre armi (in quei paesi allora non s'usciva mai colle mani in mano), e mentre ci disponiamo a correre sul campo di battaglia per vedere che succede, il sor Checco, come uomo pratico e capo di casa, ci sgridava dicendo: - Attenti! Ché chi sparte ha la meglio parte.... non v'andate impicciare dei fatti d'altri. - Visto poi che non s'ubbidiva, ci lanciava dietro la sua paterna benedizione: - Vorrei che c'arlevaste (foste picchiati) bene e meglio voi. - E con quest'augurio si corse via.
      Era una lite cominciata fra un tal Natale Raparelli ed un altro - Peppe Rosso se ben mi ricordo -, ed a poco a poco diventata una scaramuccia d'una ottantina di persone. Natale era uno de' maggiorenti del paese: Peppe di poco stato bandito, perché un giorno, dopo vespro, stando la gente a cerchielli per la piazza, gli era venuto il grillo di cavar il coltello, far una riga in terra, e poi dire: - Il primo che la passa, gli do una cortellata.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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