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      ), né bastante indipendenza di pensiero per ben giudicare il suo tempo.
      Le tracce veramente indelebili della rivoluzione non le seppe vedere. Imitò invece il concentramento (centralizzazione), che fu l'arme necessaria del despotismo rivoluzionario e napoleonico, ma che non poteva essere il perno d'una società rinnovata.
      Ridusse nella sola Roma tutta la vitalità delle province. Se poi Roma, ne' pontificati successivi, dovesse avere in sé forza, virtú, energia bastante da governarle, egli forse lo poté sperare, ma in tal caso l'istoria degli ultimi ventisei anni dello Stato papale ha tristamente deluse le sue speranze.
      Malgrado tutto questo, se si considera dove era nato, e come educato e vissuto, si dovrà sempre contarlo fra gli uomini notevoli de' tempi nostri.
     
     
     
      CAPITOLO IX
     
      Io che sempre ebbi l'istinto di studiare gli uomini. le loro passioni, i loro vizi come le loro virtú, e di vedere cose nuove, ero venuto a Roma alla morte di Pio VII per osservare da vicino quel gran movimento romano. Un'altra cagione mi muoveva. Il mio prozio, fratello di mio nonno, il cardinal Morozzo, vescovo di Novara, s'era condotto a Roma per assistere al conclave, ed era naturale che venissi a fargli riverenza.
      Lo trovai alloggiato in casa del cardinale De Gregorio, suo antico ed intimo amico; uomo d'una fermezza incrollabile, che aveva accettate le prigioni di Napoleone, ma non mai le sue lusinghe, e molto meno tremato ai suoi sdegni. Le sue opinioni politiche avrebbero fatto sembrar giacobino l'attuale monsignor De Merode. La natura sua, il suo tratto erano di perfetto gentiluomo, e non v'è sorta di gentilezza che non mi abbia usata durante gli anni che passai in Roma. Ero a pranzo da lui ogni settimana una volta; m'invitava a Casal de' Pazzi, infelice sua creazione a poche miglia fuor di porta Pia, e di queste sue amorevolezze gli serberò sempre viva gratitudine.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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