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      Essa mostra i suoi talenti specialmente in questi casi: quando si tratta di far trovare tutte le vie, tutte le porte chiuse all'uomo che non ha altro peccato se non la troppa onestà.
      Di qui poi le meraviglie de' gonzi. "Par impossibile un galantuomo come N. N. non impiegarlo!" Furbi!
      Era naturale che questa tacita congiura avesse condannato mio padre, e datogli l'ostracismo maggiore latæ sententiæ. I due re Vittorio Emanuele I e Carlo Felice (come tutti i re in genere, e piú gli assoluti), ignoranti della gran scienza di conoscere gli uomini, s'eran circondati d'inetti, di mediocri o di nemici, tenendo lontani gli amici. E mio padre, che per i Reali di Savoia avrebbe dato la vita propria e quella de' figli, era lasciato e viveva in disparte.
      In una circostanza, che la mia memoria non riesce a precisare, mio fratello Roberto, che vedeva da un lato l'indifferenza del governo e del re per nostro padre, e dall'altro la sua inalterabile devozione a loro, se ne sdegnava. Ed un giorno gli venne scritto in una sua lettera ch'egli troppo s'affannava per degli ingrati, ovvero per esser solo pagato d'ingratitudine.
      Ecco ciò che gli rispondeva mio padre in una sua del 13 dicembre 1817:
      ...Non hai risposto al mio quesito: in buona logica s'hanno a definire i termini per agevolare la risoluzione della questione. T'interrogai, chi sono gl'ingrati? che cos'è l'ingratitudine? senza queste definizioni sarai fondato, e lo sarò io, nel dire ognuno l'opposto.
      Poiché la mia testa è meno ritrosa del solito, voglio tentare di dare qualche cenno di luce sul punto da te proposto. Per chi mi adopero io? Per la famiglia, per qualche povero, per la patria, che è una cosa col Re. Mi pare che s'abbia a dire ingrato quegli che conosce il bene fattogli, sa esser fatto per giovargli, non essergli questo dovuto rigorosamente: e potendo riconoscerlo a parole o a fatti nol fa; e sapendo cosa gradita al benefattore e potendola procacciare, lo ommette.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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