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      Non la valuto sull'ampiezza sua; sarebbe giudicar di volgo. Non eran vaste tante contrade cresciute a gran fama senza crescer di mole: ed è fors'anche vero che è piú vera patria la piú ristretta. Certamente deve stentare il Taurico a credere parte della sua patria la Finlandia: il Provenzale la Brettagna: né gli Egizi tenean per paesani i Galli, sotto Traiano o Diocleziano. Ma questo può disputarsi, e lo accenno soltanto. Bensí è certo che, se oscura interamente fosse questa contrada, la dovrei, la vorrei amare. L'amerei, l'onorerei, perché sovente, anzi per lo piú, lo splendore esterno sta in ragione inversa della felicità, dell'ordine interno: perché il disdegnare una patria oscura, a me pare errore qual d'un figlio che arrossisce del padre perché plebeo ed ignorante. Perché se è realmente abbietta e di nessun nome, ed io ho o mi credo d'aver animo, ingegno tali da essere de' miei concittadini maggiore, oh! concorreranno a gara l'amore ad essa dovuto pur sempre, ed un non vizioso amor proprio mio, a volerla innalzare, a trarla dalla sua abbiezione, a farla degna di me. Era spregiata Tebe fra' Greci; se Pelopida, se Epaminonda avessero avuto animo sí poco elevato da arrossirne, da non crederla degna che s'impiegassero per essa i loro talenti, i servigi loro, avrebbero tenuti sepolti i ricchi doni avuti dal cielo, e loro e la patria sarebbero rimasti nell'antica oscurità. Che se ad altre genti, perché piú chiare, avessero voluto servire, la luce maggiore ivi già splendente avrebbe scemato d'assai il risalto della loro personale; che inoltre scemava da sé necessariamente, perché all'estraneo né la storia né il parere de' saggi non mai danno egual lode per le cose grandi da lui operate come se alla patria le avesse donate: perché raro è un concorso di circostanze tali da giustificare un figlio quando volge ai genitori le spalle.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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