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      Per fortuna, mio padre e mia madre non mi leggevano in cuore; ed Iddio che vi leggeva è misericordioso de' pazzi.
      Ma siccome è altrettanto giusto, fui in ultimo pagato della moneta che meritavo; e si vedrà piú avanti.
      Arrivai a Roma assai bene in quattrini, grazie alla bontà de' miei; e per non perdere il buon momento, mi presi un cavallo. Questo fu sempre prima e costante immagine della prosperità delle mie finanze. Quando poi invece risoffiava vento contrario, vento che in capo all'anno era in sostanza il dominante, primo sintomo del cambiamento di tempo era la scomparsa del generoso animale.
      Quest'alternativa mi è stata compagna indivisibile durante tutta la mia carriera. Quando lasciai il ministero, e finalmente quando rinunziai al governo di Milano, rimasi a piedi, ed oramai sarà questo il mio stato definitivo.
      Mi posso vantare, in quanto a spese, d'aver sempre fatto il passo secondo la gamba, e me ne tengo.
      Passai l'autunno a Tivoli, dov'era radunata la società ch'io frequentavo. La descrizione delle mie occupazioni in quella villeggiatura è poco interessante, e però la ommetto. Neppure l'istoria della successiva invernata merita particolare menzione. Lavorai e studiai quanto me lo permise quella sciocca catena che m'ero volontariamente attaccata colle mie mani: conclusi poco per la mia istruzione, e pochissimo pel miglioramento morale. La malattia faceva il suo corso.
      Non mi parve d'accorgermi che il giubileo avesse neppur esso migliorato sensibilmente il morale de' Romani. I miei amici coetanei, i quali per condizione o per impiego avevano subite tutte le peripezie imposte dalla circostanza, collo stomaco ancora pieno di tante prediche, processioni, funzioni, tutte forzate, eran arrabbiati contro i preti ed il loro sistema piú di prima.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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