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      Scrissi a mio padre questi miei progetti letterari, ed egli mi confortava a mandarli ad effetto. Ma i posteri aspetteranno invano queste commoventi pagine. Il poema rimase in progetto. Intanto i miei incomodi non diminuivano; m'era entrato un incomodo peggiore, il mal del paese - paese allora per me era Roma - colle sue tristezze, che non aiutavano certamente le ricette del mio medico.
      Sin allora avevo potuto vivere piú o meno tollerabilmente lontano da lei. Ora non me la sentivo piú. Provavo sinistri ed oscuri presentimenti: non mi ricordo né come né perché, m'erano sorti nell'animo mille dubbi: mi sembrava scorgere che il tuono delle lettere si veniva mutando, mi tormentavo, maledivo me ed il momento in che m'ero lasciato invescare; ma nonostante rimanevo lo stesso, e la mia vita, il mio essere mi sembrava pendessero da quel filo, e mai in eterno avrei forse avuta la forza di spezzarlo: ma ci fu chi s'incaricò d'averla per me.
     
     
     
      CAPITOLO XI
     
      A metà dell'inverno ritornai a Roma. Mi parve di trovare tutto allo stato normale, e ripresi la mia vita stupida con incredibile soddisfazione. Come ho già detto parecchie volte, io non intendo narrare vicende amorose. Ma siccome siamo, grazie a Dio, arrivati all'ultimo capitolo del mio lungo e noioso romanzo, siccome la catastrofe fece cambiar direzione alla mia vita, bisogna pure che ne dia un breve cenno. La catastrofe accadde in un modo, e sotto una forma cosí poco naturale, cosí poco plausibile, che non potei allora rendermene conto. Le cose che accaddero in appresso mi diedero poi una spiegazione che porrò sotto gli occhi al lettore, e vedremo che effetto gli farà. Il fatto sta che un bel giorno, senza sapere a che proposito, s'aprirono le ostilità con una scena di gelosia furente, ed io che per sei anni non avevo, non dico voluto, ma potuto, purtroppo per me, aver in cuore un'altra immagine fuor della sua, io che non comprendevo vi fosse al mondo un'altra donna se non lei sola, mi trovai a un tratto accusato e convinto d'aver colla mia condotta eclissato don Giovanni Tenorio.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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