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      Era, certamente, un assolutismo completo, con tutte le sue conseguenze: ma alla fine non era un governo straniero, né occupato da dinastia straniera, come quelle di Napoli, Modena, Parma, Firenze; e gli usi, le tradizioni, le reciproche relazioni tutte ristrette nel paese, addolcivano molte acerbità, spuntavano molte spine. Ciò è qualche cosa, ma non basta. Bisogna confessare che per chi aveva fissi in cuore elementi di libertà - fosse pure limitata, misurata, ordinata, disciplinata quanto si vuole - ma alla fine di libertà e di viver libero; per chi non poteva rassegnarsi a mangiare, bere e dormire senza mai alzar gli occhi dalla via trita, era un ambiente di piombo, una specie di mancanza d'aria respirabile da non potersi descrivere.
      Un piccolo aneddoto darà un'idea di questo stato di soffocazione morale, meglio che lunghe spiegazioni. Il re era amante della musica, e dal primo colpo d'archetto stava ogni sera nel suo palco, N.° 1, second'ordine a diritta, senza perdere una nota. Ci faceva la sua cenetta (molto sobria) d'alcuni grissini, che con destrezza inghiottiva tenendoli per uno de' capi con due dita, e stritolando l'altro presto presto co' denti. I provinciali, che contavano quest'operazione fra i divertimenti della loro gita a Torino, lo stavano ammirando a bocca aperta. Una sera io ero nel punto del teatro piú lontano dal re, nel palco di prim'ordine a sinistra accanto alla porta di platea. V'erano due signore e tre o quattro persone, e si chiacchierava, secondo il principio di quell'individuo, che invitando un amico col quale aveva affari in casa sua, diceva: - Mia moglie fa musica e potremo discorrere. - A un tratto s'apre la porta del palco, si presenta un ufficiale delle guardie a piedi, ci saluta e ci dice: - D'incarico di Sua Maestà li prego a stare zitti!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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