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      - e poi sceso dal poggetto, veniva domandando a quanti incontrava: "Audistine sonum?" e se l'altro diceva: "Audivi:" Alapam tibi dabat dicens: "servus meus es." Altro fattarello. Prima della calata di Carlo Magno, il paese era infettato di malandrini, ed i monaci della Novalesa non sapevano piú come salvarsi. Era fra questi un antico Arimanno(25) già terribile soldato, ora umile penitente. L'abate lo fe' chiamare, e gl'impose andasse ai masnadieri e li persuadesse a rispettare la Badía. E non solo lo mandò senz'armi, ma gli comandò che se venisse schernito, spogliato, non opponesse resistenza, e tutto tollerasse per l'amor di Dio. Il monaco, presa l'ubbidienza, disse: - Ed io cosí farò, se mi levano la tonaca, la camicia, il cilicio: ma se volessero levarmi i femoralia? (mutande). - L'abbate, colpito della forza dell'argomento, soggiunse: De femoralibus nil tibi praecipiam. Parte il monaco sul suo vecchio caval di battaglia, che serviva all'uso del convento, e trovati gli scherani, gli avviene appunto che di lui si fanno beffe. E lui zitto. Lo spogliano della tonaca, della camicia; e lui zitto. Suppongo che non vedeva l'ora che arrivassero alle mutande: ci arrivarono difatti; e lui che non aspettava altro, sfibbia, non avendo armi, le staffe di ferro, e comincia a minestrare; e minestra cosí bene, che tornò al monastero co' panni suoi, e coi panni e l'arme di costoro, che lasciò pel bosco a' corvi ed ai lupi.
      Questo fatto mi diede poi piú tardi l'idea di introdurre Fanfulla in San Marco nel Niccolò de' Lapi. Ma riconosco umilmente che de' due il monaco val meglio assai.
      E chi le dice,
      grideranno i signori della dignità della storia, "che il suo suonatore di corno, o il suo monaco, siano neppure esistiti?


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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