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      Qual diritto ho io di rendere piú miserabile che non volle farlo Iddio uno spirito immortale?
      La malattia di mio padre gli aveva dato un po' di respiro, poté lasciare il letto, ed anzi si ristabilí abbastanza per accompagnare a Genova mia madre, la quale ci andava per fuggire l'aspro inverno torinese. Ebbe qualche giorno di miglioramento, ma poi si rinnovò piú forte il male e ci giunse a Torino la notizia che ogni speranza era spenta. Roberto ed io si partí per Genova: "Alla mezzanotte" cosí mia madre nel suo racconto "arrivarono da Torino i suoi figli Roberto e Massimo, li abbracciò teneramente, diede loro qualche ricordo, raccomandò la madre, la concordia e la pace, li benedí con tutti i sentimenti d'un cuore paterno...." e addí 29 novembre 1831 morí d'anni 67, e nove mesi. Non entrerò in altro su questo argomento. I lutti domestici non possono, com'è naturale, incontrare ne' lettori altro che tiepide simpatie: ed i segreti del cuore non debbon aprirsi se non a chi ne può essere veramente partecipe. Dirò solo che per me fu un dolore grande e lungo, e neppur ora non scrivo cogli occhi interamente asciutti.
     
     
     
      CAPITOLO XII
     
      Finché padre e madre sono vivi, siamo certi d'avere chi ci ama per noi. Quando non sono piú, la certezza è sparita, e non rimane che la possibilità. Per questo la perdita de' genitori segna una delle fasi piú gravi della vita; e soltanto i cervelli incapaci di mai fermarsi in un pensiero serio, od i cuori spogli d'ogni nobiltà, trapassano indifferenti questa vicenda. Nelle mie circostanze domestiche poi, il caso era ancor piú doloroso, la perdita piú irreparabile. Se colle mie parole e meglio colle citazioni ho potuto dare al lettore un'idea del padre che non dovevo mai piú rivedere, non sarà necessario ch'io entri in molte parole per persuaderlo del senso di solitudine e d'abbandono doloroso che m'invase alla sua morte.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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