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      Ai futuri corbelli, destinati a riuscire poi ingegneri, impiegati, speziali e non poeti, la prima idea che viene coll'esantema poetico, è l'ode a Filli, o le riflessioni lacrimose sulla luna, o li sciolti all'amico per informarlo della corruzione dell'umanità, ecc., insomma rifriggere per la milionesima volta la roba fritta. Grossi, invece, natura fiera, tutta verità ed iniziativa, afferrò gli argomenti che vedeva, toccava e sentiva; li trattò colle sue idee, col suo discernimento, e di primo tratto fu originale, fu lui, e fu uomo d'alta portata. V'era a Pavia un professor di legge, uomo nuovo, strano, che faceva una certa sua lezione alla bislacca, un po' in italiano, un po' in dialetto, un po' in latino, della quale tutti ridevano. Grossi la ridusse in versi, ma con tanta verità, e cosí perfetta imitazione dell'originale, che era un vero gioiello.
      Non so a quale età precisamente fu messo nel collegio degli Oblati, vicino a Lecco. Educazione rozza, quasi brutale, di poco latino e meno pietanze, non senza picchiate come codice disciplinare; tantoché il carattere di Grossi, ardito ed irruente, s'era inasprito, ed era sempre ad azzuffarsi coi compagni. Ma siccome era mingherlino, ed aveva piú cuore che polso, non si può credere quante ne prese. Il suo cranio era una cosa incredibile! Le cicatrici e le tacche una toccava l'altra. Alla fine non potendo piú soffrire questi Oblati, che per tutta la vita non poté mai ammettere all'amnistia, un giorno scappò calandosi da un muro, d'accordo con un compagno, e non si seppe piú nuove di loro per un pezzo, finché li ripescarono poi a Magenta.
      Mi raccontava un curioso fatto, prova dei teneri sentimenti che nutriva pe' suoi maestri. Era il tempo in che i Francesi, non piú condotti da Bonaparte, si ritiravano cacciati dagli Austriaci e dai Russi di Souvaroff.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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