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      Esso, si può dire, ha governato per tant'anni la Lombardia per mezzo del teatro della Scala. E bisogna dirlo, fino ad una certa epoca vi è riescito bene. Io stesso che ora scrivo, dopo tanti anni, mi rammento benissimo il fascino che esercitava su tutti e anche su me l'annunzio, per esempio, di una rappresentazione della Malibran. Convengo che non mi ci divertivo tutta quanta la sera, e che anzi internamente borbottavo spesso contro quell'entusiasmo; ma provavo a momenti delle sensazioni proprio straordinarie. In poche parole dunque, vivevo un po' da me, un po' in compagnia d'artisti, quindi in società. Le relazioni in Milano, come ho detto, sono facili; io ero anzi un po' guasto dalle infinite cortesie e gentilezze che ricevevo: quindi cresceva il numero delle conoscenze, quindi cresceva anche la lista de' doveri che verso gli altri dovevo adempiere.
      (*) Dopo aver scritto alcune ore, dopo aver lavorato nel mio studio od in quello di Molteni qualche altra ora, avevo delle visite da fare, la lista delle quali era talvolta enorme, perché imprudentemente le lasciavo accumulare. Trovo un piccolo documento nella farragine delle mie carte, un vecchio foglio sul quale è scritta la seguente lista: Alari - Cicogna - Dunois - Ponzani - Rovida - Litta - Ulrich - Visconti - Kevenhüller - Trotti - Hayez - Palagi - Litta - d'altra famiglia.... (noti che il foglietto in fondo è un po' bruciato, ciò che mi fa supporre che la lista era certamente piú lunga!).
      (*) Quando venne la terribile volta di leggere al Grossi i primi capitoli del Niccolò de' Lapi, sentii che il famoso velluto, del quale piú sopra ho parlato, mi scappava di sotto: mi trovavo anzi malissimo seduto. Non potevo respingere da me la tranquilla, decisiva sentenza che il Grossi aveva dato del mio saggio poetico.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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