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      Ritrovato dunque dopo alcuni giorni Filippo, gli dissi che ero disposto a tentare questa prova.
     
     
     
      CAPITOLO XVI
     
      In quell'epoca, non mi ricordo come, avevo conosciuto un tale dell'Umbria, mezzo letterato, mezzo politico, di quelle nature candide, credenzone, come se ne trovan tante in Italia; e siccome egli intendeva partire per il suo paese ne' contorni di Spoleto, fu deciso che avremmo fatto assieme questo primo tratto di strada.
      Una mattina dunque di settembre (il 1° o il secondo, se non erro), ce n'uscimmo per Porta del Popolo, condotti da uno di quei vetturini marchigiani, che mantengono soli le vere tradizioni poetiche del viaggiare; destinati pur troppo ad essere anch'essi travolti dalla prosaica corruzione delle strade ferrate. È vero che il Governo del Papa, se non dalle altre, da questa corruzione se n'è salvato sin qui e se n'avrebbe ancora a salvare per un pezzo, se non sbaglio: e sarà una gran seduzione per chiamarvi a viaggiare le nature poetiche di tutta Europa.
      Antonio aveva due di que' tali cavalli, che a vederli, promettono di non poter muovere le gambe, ma riescono poi eccellenti alla prova, coll'andar tutto il giorno come demoni. Il legno idem; pareva una conocchia fessa; e nel tratto di strada per arrivare a porta del Popolo lavorava tutto per sghembo, sonando sul selciato come un carretto di ferraglia; eppure andò come una spada per tutta la via, e non si smosse un dado. Quest'équipage è quello che nello Stato papale porta, non so perché, il nome di un Sant'Antonio. Uscimmo dunque tutti allegramente da porta del Popolo: Antonio schioccando la frusta, e Pompili, il mio compagno dell'Umbria, ed io occupandoci delle disposizioni che prende ogni viaggiatore mettendosi in viaggio, per avere alla mano tutte le piccole felicità della vita di carrozza.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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