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      Di quella sera passata a cenare, bere e fumare con un postiglione di Baccano, che si era particolarmente dedicato a tenermi compagnia, due cose mi rimasero impresse nelle mente. L'una, la grossezza veramente mostruosa delle zanzare di quel felice luogo; l'altra, l'assenza di ogni idea, di ogni sospetto, per cosí dire, d'onestà, che trovai nel mio povero compagno d'osteria. Mi raccontava con un tal candore i vari modi tenuti da lui per corbellare i forestieri di pochi paoli, che proprio non mi fu possibile di dargli del birbo neppure in petto: e invece dissi mentalmente una coroncina al Governo, al sistema, a' preti, ecc.; e sempre piú mi confermai nell'idea, che il criterio del fas e del nefas è perduto, spento, morto e sotterrato ne' felici domini papali.
      E difatti tutta l'amministrazione non è là, in buona parte, se non una gran confraternita di ladri. Come diavolo pretendere che il mio postiglione non rubasse anche lui, quando gliene veniva l'occasione: e piú ancora, non credesse fermamente che tutto sta nel farla franca!
      Tirai in lungo piú che potetti la mia veglia, per non esser tentato di dormire; alla fine però ora l'uno ora l'altro s'era venuto dileguando; il fuoco s'era spento, e bisognava lasciar che l'oste se n'andasse a letto. Salii in una camera a due letti, su uno dei quali già era disteso Pompili. Mi buttai sull'altro e si venne chiacchierando piú che si poté, finché sopraffatti dal sonno ambidue, febbre o non febbre, ci addormentammo. Ma la passammo liscia, e la febbre non venne.
      Quasi mi persuado, che avendo avuto una volta fortissime le febbri di malaria, la natura mia, stata sempre, se non robusta, sanissima, non fosse piú capace di prenderle. Che anche altre volte avevo dormito impunemente nell'aria cattiva.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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