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      Passarono due ore almeno, era notte chiusa e sempre diluviava; quando di verso strada venne lo strepito d'un biroccino che si fermava alla porta; e un momento dipoi entrò in casa come una tempesta il signorino. Trovò per primo Antonio, e gli cominciò a sfilar la corona, non piú in contralto, ma in soprano deciso, tanto era il suo giusto furore. Antonio che poco ne aveva soggezione e sentiva d'aver in me un fedele alleato, gli faceva testa molto bene; tantoché il signorino entrò a furia in cucina, e venne diritto alla mia volta col viso d'un padroncino mal servito dal suo cameriere. Io allora con quell'occhiata che dice ai ragazzi: "È tempo di finirla," risposi a' suoi lamenti: - Parla con me? Parli col vetturino. - Gli volsi le spalle, e me lo levai d'attorno. Visto che con me non faceva frutto, tornò addosso ad Antonio; ma dopo molto tempestare, non poté far altro che toglier dal legno la sua valigia, rinunziare alla nostra compagnia, e lasciarci colla sua cordiale maledizione.
      Cosí l'indomani di nuovo solo con mia somma soddisfazione, partii a levata di sole per Loreto.
      Trovai il paese in festa per la fiera. Visitai il Santuario, e vi passai tutta la giornata. Attaccai discorso con un vecchio caffettiere, e mi venni facendo idea del luogo e degli abitanti: idea, mi duole il dirlo, poco favorevole.
      Ho sempre osservato che i paesi e le città ov'è un Santuario di gran fama valgono assai poco. Cercandone le cagioni, mi son fermato alle seguenti. Perché il popolo s'avvezza di lunga mano a campare non d'un lavoro che realmente gli faccia meritare ciò che guadagna colla fatica; ma piuttosto a campare sul corbellare piú o meno l'infinita quantità di persone che visitano il santuario.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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