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      E che in quella guerra, tanto impossibile secondo le apparenze d'allora, egli doveva perdervi la corona e poi la patria e poi la vita; e che a me, come primo ministro di suo figlio, era serbato il triste ufficio di farlo seppellire, rogandone l'atto in persona, nelle tombe reali di Superga!!!
      Poveri uomini, che si credono di condurre gli eventi!
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      Come si può credere, uscii dal palazzo con un tumulto nel cuore, sul quale volava ad ali tese una grande e splendida speranza.
      Tornai nella mia cameruccia all'ultimo piano di Trombetta; e mi misi a tavolino per scrivere subito a quello de' miei corrispondenti, che poi doveva comunicare la risposta a tutti.
      Prima di lasciarli, avevo immaginato una cifra d'una fattura affatto estranea a tutte quelle consuete. Cifra sicurissima, e che, a parer mio, può sfidare tutte le indagini, ma faticosa assai a comporsi. Perciò la lettera non la scrissi presto. Essa diceva tutto il preciso tenore della risposta di Carlo Alberto; ma per star nella piú scrupolosa esattezza, e non rischiare di dar per certo ciò che fosse soltanto effetto d'una mia impressione, finivo cosí: "Queste le parole; il cuore lo vede Iddio."
      Non ho mai voluto, come si suol dire, vendere a nessuno la gatta in sacco: essendomi sempre sembrato stretto dovere, quando si conducono gli uomini a dover forse giocare le sostanze, la libertà, la vita, la pace delle loro famiglie, tutta insomma la loro esistenza, far che sappiano e vedano almeno ben chiaro quel che fanno, e perché lo fanno. Di questo modo di operare non ho avuto mai a pentirmene: e lo consiglio con quanto calore posso a tutti in questa povera Italia, esposta a tante seduzioni, dove parecchi operano ben altrimenti, e mettono la gente invece ad ogni sbaraglio a forza di levar loro il senno colle illusioni e colle bugie.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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