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      E poi era cosí senza fiele, senza ombra d'un sentimento basso o brutto! Insomma, io non avevo il miglior amico, ed eravamo cuciti a fil doppio.
      E poi, dalle maggiori cose alle piú piccole, aveva tanto il senso del bello morale, del bello materiale, delle arti, delle lettere! Provava estasi cosí ingenue per ogni idea che fosse nobile, generosa, per ogni atto animoso ed onorato! Povero Cesare! Un tutt'insieme com'era lui non c'è al mondo, e non l'ho da vedere mai piú!
      Si parlava, dunque, continuamente di questa nuova forma da darsi al lavoro della nostra rigenerazione italiana, e si facevano ogni giorno discorsi d'ore e d'ore. Egli era alla sua villetta del Rubatto, sulla riva del Po, in faccia al Valentino, dove m'ero andato a stabilire anch'io.
      Erano bei giorni quelli! Si sentiva non so che nell'aria che annunziava un'epoca migliore, che ispirava speranze, presentimenti indefiniti, ma de' quali il cuore non dubitava. La causa italiana cosí sbattuta, cosí invecchiata fra le miserie, pareva ringiovanita, rinnovata: aveva l'ingenuità, la grazia, le promesse dell'adolescenza che annunzia una vigorosa virilità.
      Le questioni di forma di governo, le esclusività di sètta non pareano interessare nessuno, e tutto svaniva o taceva a fronte dell'altra idea, d'una generale redenzione dei popoli della Penisola dalla signoria de' stranieri. Il porro unum est necessarium di Balbo, non era ancora scritto, ma già ardeva in tutti i cuori.
      La memoria di quel tempo, ora dopo il triste giro d'avvenimenti che ci ha condotti dove siamo, mi fa il senso che in un vecchio pieno di malanni produce la memoria d'una vegeta gioventú! Ma disperare mai! Chi conosce i tesori di vitalità posti da Dio nelle viscere dell'umanità? Chi può valutare quali forze abbia perdute, quali le rimangono?


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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