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      Ma non ostante queste cure ed i molti beni che d'anno in anno se ne riconoscevano, le terre di Lombardia, come dicevam cominciando, mostravano un aspetto assai diverso da quello d'oggi. Gl'innumerabili torrenti che dalle Alpi scendono al Po e che, malgrado l'arti moderne sono cagione anche a' dí nostri, di tanti inaspettati mali, erano in quel tempo nemici troppo piú potenti dell'uomo, che ad ogni momento, e senza aver modo a frenarli, dovea starsene inoperoso spettatore delle loro rovine. Cosí l'aspetto del paese veniva spesso a mutarsi, mutandosi gli alvei de' fiumi e distrutti i pochi e rozzi ponti che v'erano, affondate, o rotte, o scomparse interamente le strade che i Longobardi con istrano pensiero avevan usato scavar quasi fosse; le comunicazioni, anche a brevi distanze, venivano sovente interrotte, o rese almeno malagevoli e pericolose ai viandanti.
      E ad accennare particolarmente quest'inconveniente dello stato d'allora, non creda il lettore che vi siam condotti dal caso, ma sappia che, a cagione appunto di torrenti sfrenati e strade rotte, siamo in pensiero per uno de' piú cari (per noi almeno) attori della nostra storia, che viaggiava solo sur un muletto, una sera del 1157, tra Milano e l'Adda, sur una strada che per lunga pratica benissimo conosceva, ma che il Lambro aveva colmata e coperta di ghiaia in una recente inondazione.
      Questo viandante, vecchio oltre i sessant'anni, di pallido ed afflitto volto, ma però valido di membra e verde di forze, aveva indosso un saio di pignolato(36) ed in capo una berretta oscura. Gli uomini di quel secolo, usavan portare i capelli lunghissimi e soltanto tagliati in modo che fossero uguali alle punte secondo l'antica usanza longobarda.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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