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      Ricordatene, figliuolo, ed insegnalo ai figli de' figli tuoi.
      Ed il comando era stato religiosamente adempito.
      Queste alte pretese, conosciute dagli altri schiavi loro compagni, fruttavan scherni e motteggi ad Ardengo ed a Lanfranco. D'onde nacquero soventi male parole, poi risse e zuffe alla fine: ed in una di queste, Lanfranco, grande di corpo e di terribili forze, quantunque giovanetto, percosse sí fattamente col pugno il suo avversario alla tempia, che si tenne l'avesse ucciso, ed il valvassore, fattolo prendere non senza gran difficoltà, che senz'armi e colle sole pugna si difese a lungo, comandò venisse sul luogo istesso impiccato. Per buona sorte il percosso rinvenne; in pochi giorni risanò e, dopo non molti, ritornò ai suoi lavori. Il furore del castellano diede cosí campo all'avarizia, e, rivocando la prima sentenza, ordinò invece che il giovinetto fosse venduto; né valsero le preghiere di molti, le lagrime, le disperate parole del padre a smuoverlo dal suo proposito.
      Dopo pochi giorni, tenendosi ne' contorni una fiera, o mercato, od altra adunanza di popolo, Lanfranco tratto di carcere colle mani legate da valide funi, che assai conoscean la sua forza, uscí dal castello in mezzo ad uomini armati e s'avviò al suo destino. Né il desolato padre poté ottener pure dal castellano d'accompagnarlo, per veder in viso almeno quello che sarebbe divenuto padrone del sangue suo.
      Giunto Lanfranco al mercato, scosse per meraviglia la moltitudine colla bellezza del volto, il fiero sguardo, e le robuste sue forme, e presto gli s'affollò intorno la turba, mentre il banditore gridava la vendita dello schiavo, dicendone l'età ed esaltandone i pregi. Ma in quella si cacciò tra la folla, aprendola senza molti riguardi, e gli s'accostò un cavalier seduto su un nobile palafreno.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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