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      Esser la prima lancia di Lombardia (tale era stato l'augurio di Lanfranco), pareva al giovane la piú alta, la piú splendida delle venture. Ma, per giungervi, ci sarebbe voluto almeno, e per prima cosa, la libertà. E come ottenerla? fuggire? da quello che gli aveva restituito il padre? l'animo suo neppure era capace di supporlo possibile. Dunque, ottenerla per grazia, o riscattarsi.
      Sotto i barbari, come sotto i Romani, e poi via via sino all'epoca che trattiamo, gli schiavi ebber sempre la facoltà di formarsi un peculio, condannandosi ad un soprappiú di fatiche, oltre quelle cui venivano costretti dai padroni; o valendosi in qualsiasi modo del loro ingegno. Questo peculio ammassato a stento, goccia a goccia, coll'amaro sudore della fronte; ove avessero tanto vigore da resistere all'eccessiva fatica e tanta fortuna da poter adunare l'intero prezzo che valeva il loro individuo; questo peculio, dico, procurava finalmente allo schiavo la libertà. Ma spaventa il solo pensiero d'una via tanto lunga, dolorosa, e, quel che è peggio, d'esito cotanto incerto. Eppure l'animoso Lanfranco (che non farebbe l'uomo per amore della libertà!) s'era messo con indefessa pazienza per questa via, ove per sua fortuna aveva chi con potente soccorso l'aiutava a progredire, ed era questi il vecchio Ardengo.
      S'intende facilmente come dovessero essere compressi, potremmo dire, distrutti in uno schiavo, i desideri, gli affetti, le passioni che consolano od affliggono la vita degli uomini liberi. Tanto piú intenso e potente dovean perciò provare l'amore della famiglia, che pel comodo o l'avarizia del padrone veniva pur talvolta dolorosamente disgiunta, come per poco non accadde a quella d'Ardengo. Può immaginarsi il lettore che cuore straziato fosse quello d'una povera schiava, quando quel primo moto delle viscere, che è pura e nascosta gioia d'ogni madre, le rivelava una doppia vita!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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