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      Racchiudeva uno spazio a uso di aia, lungo per ogni lato circa ottanta passi andanti. Nel mezzo era eretta una torre, sulla quale stava quasi sempre qualcuno di guardia; che, in quell'età, darsi un'occhiata d'intorno di quando in quando era, se non indispensabile, almeno molto prudente. Nel caso d'un assalto questa torre poteva servire d'ultimo rifugio agli assaliti; ed alla sua base s'appoggiava una casaccia, o capannone, fatta di tronchi d'alberi retti da pilastri, ed il tutto coperto da una mano d'intonaco, ove dimorava il frate co' suoi uomini, e per una porta interna potevano in un momento mettersi in salvo nella torre che aveva sul terrazzo in cima buona munizione di archi, verrettoni, sassi, ed una petriera per lanciarli. Ne' lati esterni del quadrato non erano né finestre, né porte, salvo la sola che serviva d'ingresso, e cingeva tutto il circuito un fosso largo e profondo.
      Da questa descrizione s'avvedrà il lettore che tra le cascine lombarde d'oggidí e le grancie d'allora, corre qualche differenza. Ma ne corre altrettanta tra gli uomini. Se in meglio o in peggio, non è questione che siam disposti a discutere ora. Appena il frate Brisiano fu entrato col suo compagno di viaggio, venne di nuovo chiusa la porta ed assicurata con una sbarra in traverso che pareva una trave. Ardengo, per la prima parola, domandò di Lanfranco, e gli fu risposto che, dopo il lavoro della giornata, era uscito coll'arco ed uno spiedo da caccia per aspettare alla posta un grosso cignale, che rovinava i seminati e teneva in sospetto i contadini di quei contorni.
      Il giumento condotto dal granciere venne scaricato ed avviato alla stalla colla mula d'Ardengo che ne staccò prima le bisacce; ed i due arrivati entrarono nel capannone sotto la torre.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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