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      Ma andava zoppiconi, e in quattro salti l'ho arrivato; mi s'è pur voluto buttar addosso, e ci siam dette quattro parole, ma presto l'ho messo a dormire. Lo sparo, lo vuoto, e me lo stavo per caricare, quand'ecco costui m'esce addosso di dietro una siepe, gridando e credevo che di me e del cignale volesse farne un boccone. Comincia a dire che è terra dell'abate e che lui è il guardaboschi e che d'ogni animale che vi s'ammazzi se ne deve all'abate sei costate ed una spalla: ed urla e tempesta, che quasi m'era cominciato a venir a noia. Io che stavo in ginocchio, m'alzo, mi ritiro due passi e gli dico che si prenda quel che gli appartiene; e lui allora non vuol piú nulla e mi s'è avviato dietro sin qui come un bracco; e quel che voglia ora, se non ve lo sa dir egli, io per me non lo so.
      - Sí - rispondeva il guardaboschi - m'ha detto, prenditi quel che ti pare; ma sapete come me l'ha detto? Tenendo quel suo bastonaccio in aria sur una spalla; e se io nulla nulla m'avvicinavo, era capace di scaricarmene in capo una delle sue, che lo conosco, io! e quand'era in terra curvo sul cinghiale, non l'avevo riconosciuto.
      - Che c'entrava il bastone: So assai come lo tenessi... Sarebbe bella m'avessi a ricordare quante volte l'ho mutato di mano in ventiquattr'ore! Ma te l'ho detto, sí o no, di prenderti quel che t'apparteneva?
      - Sí, che me l'hai detto, ma...
      - Dunque, s'io te l'ho detto e tu non hai voluto, tuo danno; e, se non hai altro a far qui puoi bagnarti la bocca a quest'otre e andarti con Dio.
      - E tu dammi la parte dell'abate, e io me ne vo.
      - E tu pigliatela - rispose Lanfranco, e, mentre diceva cosí, cominciava un mulinello tanto rapido con quel tal bastone, che faceva vento a dieci passi, ed un ronzío come d'un calabrone.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Dio Lanfranco