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      Citazione un po' lunga; ma che può dar idea del tempo d'allora meglio d'ogni nostra parola.
      Tale era dunque il costume dell'abate Algiso, al quale meglio sarebbe convenuta la lancia che il pastorale. Le sue ricchezze, il sangue ond'era nato, lo rendean superbo e bizzarro come un orsacchino, e non v'era terra o barone vicino, col quale non avesse brighe, piú che per altro, per cose e diritti di caccia, una (non la sola) delle sue piú ardenti passioni: e se, per caso strano, non aveva talvolta liti al difuori, si manteneva in esercizio, attaccando brighe co' suoi monaci, molti de' quali eran testine da tenergli molto bene il bacino alla barba. In quest'incontri, l'interno del monastero diveniva come una rocca presa d'assalto e, senza tener conto di molti pranzi che eran finiti colle scodelle per aria, era pur accaduto che il chiostro s'imbrattasse di sangue.
      La festa di San Calimero, ricorsa pochi dí innanzi, era appunto finita con una di queste baruffe, che la fama, esagerando al solito, avea già pubblicata per tutti i contorni. Un antico costume del monastero volea che in quel giorno l'abate, convitando i suoi monaci, desse loro nove diverse vivande. La scrupolosa fedeltà degli storici d'allora ci mette in grado di dar al lettore la lista di questo monastico convito.(56) All'abate, che stava adirato in quel momento, perché il Capitolo gli avea negate certe camere ch'egli voleva per alloggiarvi i suoi falconi, venne il capriccio di farne vendetta col ristringere ad otto piatti l'imbandigione. I porcelletti ripieni, che dovean venir gli ultimi, furono aspettati invano, e, quel che è peggio, uno ne fu messo innanzi all'abate, che sedeva con alcuni suoi fidi ad una tavola separata in capo al refettorio.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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