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      Uscito appena dall'adolescenza, si slanciò nella vita coll'impeto d'una natura eletta e potente, qual'era la sua. Volle conoscere e provar di tutto e lasciò segno di sé ovunque pose la mano. Primo tra' suoi pari nell'armi, primo ne' pericoli e nel tentar le piú arrischiate venture, riportava egual vanto nelle scuole, ove seppe delle scienze piú ascose quanto ne seppero gli Arabi, maestri allora del mondo. Un tal uomo dovea piú d'ogn'altro inebriarsi d'amore, e n'esaurí sino all'ultimo tutti i dolori e le gioie, ed in questa vita, che poté dirsi un continuo turbine, giunse ai trent'anni stanco e sazio di tutto, ed allora s'avvide che d'un sol bene non avea goduto giammai, quello d'esser amato.
      Potremmo definir l'amore un misto di sensualità e d'amor proprio, od anco la piú poetica tra le trasformazioni dell'egoismo, se ci bastasse l'animo d'aver idea cotanto vile del cuore umano. Ma Lantelmo, qualunque ne fosse la cagione, non aveva incontrato mai donna che dovesse ispirargliene una migliore; ed accettava in tutta la sua forza la nostra definizione, o, per dir meglio, l'avea già trovata piú di sei secoli prima di noi.
      Tuttavia, se l'ammetteva colla mente, la rifiutava col cuore: che i cuori della tempra del suo solo col morire possono perdere la speranza d'esser amati. Si sentí capace d'immenso amore e provò desiderio ardente di trovar un cuore che potesse ricambiarlo con altrettanto: accusando se stesso del non averlo sin allora incontrato, vedendone la cagione nel non aver saputo sottomettere ogni altra passione, ogni affetto, ogni cura al solo suo culto, deliberò tentar nuova via, la via de' sacrifici. Non aveva ancora appreso che de' piccoli si trova pur talvolta chi vi sia grato, ma de' grandi non si trova, si può dir, mai.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Arabi Lantelmo