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      Siamo giunti finalmente al momento in cui la libertà italiana,
     
      Messo il potente anelitoDella seconda vita,
     
      rovesciò la pietra del monumento e risorse.
      Fu breve troppo codesta vita! ma sopra tutte gloriosa. Mentre, dall'oriente all'occidente, la sola forza materiale, anzi la violenza era dominatrice del mondo, lo spirito italiano ebbe solo il vanto di levarsi all'alto concetto dello Stato indipendente, retto da proprie leggi e non dall'arbitrio. Mentre in tutta l'Europa chi non era chierico, barone, o portava almeno gli sproni d'oro, viveva, si può dire, nella condizione dei bruti, neppur sognando gli si facesse torto, le città d'Italia, prima le marittime, poi le mediterranee, mosse non dalla voce de' dotti e de' filosofi, ma da un virtuoso e spontaneo slancio, ordinavano il viver civile proclamando giusta l'indipendenza e dovuta ad ogni popolo la signoria della terra sulla quale lo ha collocato Iddio.
      Ma non ci leviamo in superbia per una gloria seguitata poi da tanta vergogna. Que' nostri antichi padri, che guidarono il mondo nelle vie della libertà, furono i primi a smarrirla. Parte delle loro colpe e de' loro errori saranno materia del nostro racconto; altri infiniti ne narrano le istorie, ma, conoscendo in che peccarono essi ed in che pecchiamo noi, loro nipoti, conoscendo quali cagioni ci fecero smarrire la libertà e ci tolgono di poterla riacquistare, confidiamo tuttavia in colui che diceva: "non est mortua puella sed dormit".
      Le repubbliche riunivano alle potenti doti della gioventú anco i suoi difetti. Piene del vigore d'una nuova vita, la milizia, l'agricoltura, il commercio, tutto in esse era in fiore; ma, al tempo stesso, orgogliose per l'ottenuta potenza ed i súbiti guadagni, pronte all'ira ed al sangue, invidiose delle vicine e, per dir cosí, soffocate ne' troppo angusti limiti, erano di continuo alle mani.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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