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      Milano, che oramai a viso aperto s'era chiarita nemica dell'imperatore, aveva fatto cavalcare le porte Comasina e Nuova in soccorso de' Piacentini, che con questo ed altri aiuti de' collegati poteano a lungo far testa all'oste di Federigo.
      Conosceva questi quanto fosse esiziale ai suoi Tedeschi l'estate in terra di Roma: non gli parve dunque d'arrestarsi all'espugnazione di Piacenza e, passando oltre, venne per le feste di Pentecoste su quel di Bologna, d'onde per la Toscana s'avanzava a gran giornate verso lo Stato papale.
      Molti sospetti ed insieme molte speranze destava la calata d'un cosí potente imperatore negli animi de' Romani e del pontefice Adriano IV, vedendovi ognuna delle parti l'occasione o di sorgere a maggiore potenza, o di venire abbattuta. Primo fu il papa a spedir due legati cardinali, i quali, incontrato Federigo a San Quirico, ottennero promessa che tutti gli stati e gli onori sarebbero mantenuti ad Adriano ed alla Chiesa e verrebbe dato in sua podestŕ frate Arnaldo da Brescia, che i conti di Campania avean tolto alle genti del papa e ridotto in salvo in un loro castello. Il fatto seguí la promessa e, per opera di Federigo, fu preso Arnaldo, consegnato al pontefice, che lo fece impiccare e, dipoi abbruciato, fe' gettarne le ceneri in Tevere.
      Intanto, prima di questi casi, s'era mosso Adriano ad incontrar Federigo, che trovň presso Sutri, né il loro primo abboccamento fu senza gravi quistioni insorte circa la cerimonia di tenersi dall'imperatore la staffa al papa mentre scavalcasse, ufficio che, voluto da questi come un suo diritto e negato da quello, li pose a prima giunta in discordia.
      Cesse alla fine Federigo, ammonito cosí aver usato molti suoi antecessori, ed ammesso per questa sua arrendevolezza al bacio di pace, concordi s'avviarono a Roma.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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