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      Doveva oramai tra i papi e la casa di Svevia essere odio mortale, che poté dirsi l'ultima battaglia tra i due principi pontificio ed imperiale, l'estremo e maggiore esperimento per tentare di distruggersi a vicenda. Durò questa guerra piú d'un secolo, sostenuta con pari accanimento dai successori di Adriano e di Federigo, e si spense soltanto nel sangue di Corradino, l'ultimo degli Hohenstaufen, sotto Bonifacio VIII, quando intromettendosi il re di Francia e trasportata in Avignone la sede papale, la questione tra la podestà ecclesiastica e laica vestí nuove forme ed, alla fine, si risolse in accordi, che, rinnegando il generoso ed alto concetto di Gregorio VII, furono in ultimo cagione si spegnesse in Italia la libertà.
      Ma di queste dolorose vicende non tocca a noi, la Dio grazia, seguirne la traccia. Ci basti aver accennato quali fossero le condizioni della Lombardia all'epoca onde prende le mosse il nostro racconto e per quali vie vi si fosse condotta. Se paresse al lettore che, nel ricercare cagioni lontane ed intralciate e nel concatenarle ai loro effetti, non ci fossimo troppo discostati dalla verità, potrà perdonarci questa disgressione istorica, che, per lavori del genere del presente, potrebbe con ragione aver taccia di soverchia lunghezza.
      Torniamo ora nelle case degli Osii e vediamo che cosa v'accadesse.
      Era sull'imbrunire e la nebbia autunnale, affrettando l'oscurarsi dell'aria, mostrava gli oggetti attraverso un velo tanto piú denso, quanto eran piú lontani; onde la cima della torre degli Osii appariva sfumata in una tinta cinerina, appena distinta dal cielo. Due lunghi stili, piantati nei punti piú distanti del terrazzo superiore, sorgevano dai merli ed una fune in traverso reggeva due grandi gonfaloni.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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