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      In queste occasioni, come può immaginarsi, non mancavano accorrenti; e primi a comparire, appena n'avesser fumo, eran giocolieri, menestrelli, merciai ambulanti, ed uomini di corte, appellativo che era (e v'è chi lo crede ancora) sinonimo di buffone: genía che si moltipllcò nel susseguente secolo, quando l'Italia s'empié di tirannelli, e che, senza professar nessun'arte particolarmente, s'ingegnava sollazzar le brigate con dir novelle e motti arguti, far beffe e bindolerie ed inventar nuove e sconce cose da far ridere altrui, colle quali astuzie e col far dell'impronto avevano dai signori vivanda, robe e danari.
      E per quanto parrebbero ora fastidiosi codesti uomini a noi, che tanti modi abbiamo di passar tempo, facilmente si comprende che, nella vita monotona che si menava nelle città, e piú nei castelli, da' baroni e grandi di quell'età, ove eran pochissimi libri e non giornali, né riviste, né album, né, mancando i corrieri, avevano (beati loro!) a scriver cotante lettere, si comprende, dico, che la comparsa d'uno di questi uomini di corte dovesse parere una benedizione a que' poveri annoiati, che, facendo grandi favori a questi tristi, eran cagione che sempre piú si moltiplicassero.
      Ve n'erano già parecchi tra le brigate, che s'andavan raccogliendo nel cortile e sotto il portico degli Osii e che, facendo cerchielli attorno a costoro, badavano ad ascoltar le loro baie; ma uno, piú di tutti, pareva allettasse gli spettatori. Era costui piccolo di corpo, barbuto, nero di pelo e di carnagione, agile e tutto nerbo, stranamente vestito a piú colori, ed aveva seco una scimmia, tenuta a guinzaglio con una catenella d'argento, che ubbidiva a cenni e, saltabeccando e facendo suoi atti, era di gran meraviglia ad ognuno, poco essendo allora conosciuti nelle parti nostre cotali animali.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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