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      SCENA TERZA
     
      FEDERICO ed il COLONNELLO SWENBERG e DETTO.
      (Edwardo presenta l'arma, e dopo alcuni momenti è levato di sentinella.)
     
      FEDERICO. Sí colonnello tenetelo per certo, il servizio del campo non si fa coll'esattezza dovuta. Io ve l'accerto.
      SWENBERG. Sire, quando cosí mi parlate non mi rimane altro a replicare; ma non posso a meno di essere assai sorpreso di una cosa che ancora duro fatica a comprendere.
      FEDERICO. Voi siete giovane. Io vedo, benché sia vecchio, e so che vi entrano qui la notte persone di fuori: ho saputo che da questa parte, non ha molto, si è veduta avvicinare una donna, se l'oscurità non ha indotto in errore chi mi ha fatta la relazione. Procurate sapere quali uomini siano qui stati di guardia da qualche ora; e spiate qual sia questo disordine. Vi voglio insegnare come dee far chi comanda. Quando io era dell'età vostra credeva impossibile lo scoprire i pensieri, e l'animo de' miei soldati; poi a poco a poco mi sono accorto, che con un po' di prudenza e di sagacità si può esser istrutto di ogni cosa, ed andare incontro a moltissimi disordini prima che divengano piú gravi.
      SWENBERG. Tutti conoscono quanto sia il vostro ascendente sulle truppe e con qual arte le abbiate sempre sapute condurre.
      FEDERICO. Ascoltatemi. Io vi voglio bene perché mi avete resi importanti servizi, e...
      SWENBERG. Un sacro dovere...
      FEDERICO. Zitto. Siamo in campo e non in corte; questo non è il distretto de' complimenti. Dunque voglio che impariate, se dovrete comandare un giorno, a bastar da voi solo per iscoprire quanto di segreto accade nell'interno del vostro campo. Come ho io saputo che vi sia questa notte venuta qui gente? Perché l'ho veduta co' miei propri occhi. Io sempre vado indagando gl'andamenti de' miei subalterni.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Edwardo