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      EDWARDO. Qui sta la scienza del vivere.
      FRITZ. Pochi anni sono tutti amavano i divertimenti, i teatri, le galanterie, ed io che era giovinetto, e non fo per lodarmi, anche non brutto, cominciai la mia vita ballando. Poi i cervelli del mondo diedero un quarto di giro. Ecco tutti filosofi; la natura, il dritto dell'uomo, le virtú sociali; bisognava batterli. Ed io cambiai i chassés e gli entrechats con un'aria semi seria, ed un tantino caustica, e me n'andai qua e là criticando tutto; impiegando a torto ed a traverso quei quattro vocaboli che m'aveano insegnato; la riforma generale, la tolleranza, e che so io. Questo mestiere non era cattivo, ma durò poco. Un altro giro de' cervelli mi fece mutar abito. Bisognava parlar di politica. Mi feci barbiere. Nella mia bottega mentre scorticava le mie vittime, discuteva sulle costituzioni, la libertà della stampa, e sopra mille altre cose di cui appena conosceva il nome. Questo mestiere l'ho abbandonato volentieri; fruttava poco: molte parole, e poco o nessun risultato. Divenni segretario d'un provvisioniere di truppe. Che mestiere! Questo si poteva dire il primo ed il migliore di tutti. Ma per disgrazia in questo mondo i migliori duran poco. Quando il mio principale ed io eravamo ben bene arricchiti, un bel giorno me lo chiudono in una fortezza, e non ne seppi piú altro. Io mi trovo in mezzo d'una strada con solo quel che aveva indosso. Che fare? Il soldato; questo è il mestiere di chi non sa piú cosa diventare. Ora però che lo sono non mi pare d'aver molto guadagnato dal canto della fortuna. Vedermi ridotto ad aver bisogno di diciotto franchi e non poterli trovare!
      EDWARDO. Certo che il caso è lacrimevole! (Stanno parlando.)
     
     
     
      SCENA SESTA


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Stanno