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      Approdò il battello nella parte più oscura della piazza, ed i due rematori saltarono a terra. Il primo di questi stranieri, visto che in quel luogo non v'era persona, si fermò ad aspettare il compagno che rimaneva addietro occupato a caricarsi d'una valigia e di cert'altri impicci; fatta la qual cosa condusse la barca alla punta d'un picciol molo che serviva allo sbarco de' legni maggiori, quindi raggiunse quello che, per quanto accennava la presenza ed una cert'aria d'arrogante superiorità, non sembrava di condizione eguale alla sua, e' che gli disse come conclusione de' discorsi fatti durante il tragitto:
      - Michele, è tempo dunque d'essere accorto; sai chi sono, e più non ti dico.
      Michele intese benissimo la forza di queste poche sillabe; accennò col capo che farebbe, e s'avviarono all'osteria.
      Davanti alla porta principale di questa, sei pilastri sottili di mattoni rozzi sostenevano un pergolato, sotto il quale erano parecchie tavole disposte all'uso degli avventori. L'oste (il cui nome era Baccio da Rieti, ma che per certi sospetti aveva dal popolo il soprannome di Veleno e così veniva chiamato da tutti) avea fatto dipingere fra due finestre un gran sole in rosso, al quale il pittore, secondo nozioni astronomiche che non sono perdute ancora, aveva attribuito occhi, naso e bocca, con certi raggi color d'oro, fatti a coda di rondine, che di giorno si vedevano un miglio lontano. L'interno della casa era diviso in due piani: uno stanzone terreno serviva di cucina e di camera da mangiare; per una scala di legno si saliva al secondo, ove l'oste abitava colla famiglia, e con qualche disgraziato quando capitava a passar ivi la malanotte.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





Baccio Rieti Veleno