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      Rimase immobile dov'era, rannicchiandosi al muro, non osando far parola e nemmeno quasi fiatare, e stupiva di ritrovarsi così dappoco, egli che non stimava persona al mondo. Ma il sapere d'essere alla presenza di quel maraviglioso e terribile uomo, il sentirselo tanto vicino, che, nel silenzio in cui stavano amendue, poteva udirne il respiro frequente, tutto ciò suo malgrado gli metteva tal brivido, ch'egli si dolea d'esser vivo. Tornò D. Michele col lume e fu visto il duca seduto sulla sponda del letto. La sua presenza era d'uomo che non ha saputo mai che cosa sia riposo nè di mente nè di corpo. Ben complesso ed asciutto di membra, di statura poco più dell'ordinaria, aveva in ogni sua mossa un non so che di tremolo che non si potrebbe descrivere. Vestiva una cappa scura con maniche a larghe strisce ed a riprese. Una daga sottile in cintura, e la spada era sulla tavola con un cappello adorno d'una sola penna nera. Teneva i guanti alle mani, ed alle gambe stivali grossi da viaggio. Volse ai due venuti un viso pallido, colle guance infossate e sparse di macchie livide, con baffi e barba rossetta, piuttosto lunga, che scendeva sul petto in due liste. Al suo sguardo poi sarebbe impossibile trovare al mondo nulla di somigliante. A voglia sua, ora più saettante di quello d'una vipera, ora dolce come l'occhio d'un bambino, ora terribile come la pupilla sanguigna della jena.
      Guardò Boscherino che s'era fatto la metà, e stava sempre nello stesso luogo, come se avesse aspettato la sentenza del capo; e lo guardò in modo da torgli ogni timore: ma Boscherino sapeva chi egli era, nè si rassicurò punto.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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