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      Solo, in capo tavola, sedeva Diego Garcia, e da' suoi lati avea fatto porre La Motta e de Guignes. Scalcando con una gran daga, in un lampo ebbe fatto in pezzi quell'animale, e divisolo fra i convitati. Il suo stomaco di ferro, servito ottimamente de due file di denti bianchissimi e forti da non temer paragone, si trovò dopo alcuni minuti racquetato se non satollo. Non gli rimase un sol osso sul piattello, poichè nessun mastino potea dirla seco per stritolarli e ridurli in polvere. Finita la pietanza, empiè i bicchieri de' suoi vicini ed il suo. Com'ebbe bevuto, e passata un poco quella prima furia di fame, s'avviarono a poco a poco i discorsi, mescolandosi le domande, le risposte ed i frizzi, che si raggiravano per lo più sui casi della guerra, sui cavalli, sui colpi dati e toccati, e sui varj accidenti del giorno. Nella parte inferiore del desco ove s'eran seduti i venti o ventitrè Spagnuoli, lasciando per cortesia al loro capo ed ai prigioni francesi ciò che essi chiamano la cabecera, ossia il sommo della tavola, si scorgeva negli atti e nelle parole quell'amorevole fratellanza che suol produrre il trovarsi avvolti insieme ogni giorno in grandissimi pericoli, ove si conosce quanto pregio abbia l'esser pronti ad ajutarsi l'un l'altro nell'occasione.
      Le facce ruvide e cotte dal sole di questi uomini d'arme, che il moto, la recente fatica ed il calor del cibo rendevano rosse ed infocate, producevano, al chiaror dei lumi che le percoteva dall'alto, un effetto di chiaroscuro degno del pennello di Gherardo delle Notti.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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