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      .. ma per dir del mio cavallo, in una sortita dove el Rey Chico alla testa de' suoi combatteva come un leone (ed era un uomo che m'arrivava al petto, ma aveva un braccio che dove toccava lasciava il segno) quel povero animale ebbe passato il collo fuor fuori da una zagaglia moresca, e la prima volta in vita sua cadde sulle ginocchia. Mi gettai a terra e vidi che non c'era rimedio. Pure speravo di ricondurlo al campo a mano, chè per tutto il mondo non avrei voluto abbandonarlo: mi seguitava che appena poteva reggersi; e non ho vergogna a dirlo, le lagrime calde calde mi scendevano per la gorgiera dell'elmo, e mi bagnavano il collo: io che non sapevo che cos'era piangere! In quella tornò addietro una furia di Mori stretta da molti uomini di arme, e quel re era obbligato a fuggire, e veniva mugghiando come un toro. Io preso in mezzo da questi, solo, a piedi, mi vidi morto. Tenni lontano più d'uno girando la spada; ma mi cadde sul capo quella del re che m'aperse l'elmo e rimasi per morto un pezzo. Quando mi riscossi e mi potetti alzar da terra, mi trovai il povero Zamoreno steso morto accanto.
      I casi del cavallo di Segredo erano stati uditi con affetto da tutta la tavola, ed il vecchio soldato al fine del suo racconto non avea potuto a meno di non mostrare sul viso solcato dall'età e dai travagli, che la memoria dell'antico compagno gli durava molto viva nel cuore. Qui ebbe vergogna di farlo troppo scorgere, e si versò da bere per distrarre gli sguardi che ancora lo fissavano.
      Jacques de Guignes che, non meno degli altri prigioni, era andato riprendendo animo a misura che s'era pieno lo stomaco, udita la storia di Zamoreno, cominciò:


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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