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      - Chez-nous, messer cavaliere, questo non vi sarebbe accaduto tanto facilmente (quantunque è pur troppo vero che les bonnes coutumes de chevalerie si vanno perdendo ogni giorno). Pure un uomo d'arme si crederebbe disonorato se ad armi e a numero pari la sua spada cadesse sul cavallo del nemico. Ma dai Mori, come tutti sanno, non si può aspettare questa cortesia.
      - Eppure, - disse Inigo, rispondendo ad una proposta che non gli era diretta, - si potrebbe provare che non è usanza solamente de' Mori l'ammazzar cavalli. Lo sanno le pianure sotto Benevento, e lo seppe il povero Manfredi. E Carlo d'Angiò che ne diede l'ordine, non era più moro di voi e di me.
      La stoccata era diritta, ed il Francese si scontorse sulla sedia.
      - Questo si dice; forse sarà vero: ma Charles d'Anjou combatteva per un reame, e poi aveva a fare con uno scomunicato nemico della Chiesa.
      - Ed egli non lo era della roba altrui? - interruppe Inigo con un sorriso amaro.
      - Credo che saprete, - prese la parola La Motta, - che il reame di Napoli è feudo della Santa Sede, e che Charles n'ebbe l'investitura: e poi il diritto d'una buona spada vale qualche cosa.
      - E poi, e poi... Diciamo la cosa com'è, - riprese Inigo, - le barbute tedesche di Manfredi, ed i mille cavalieri italiani che guidati dal conte Giordano combattevan contra i Francesi s'erano mostrati tali dal principio della battaglia, che Carlo d'Angiò non istimò inutile, volendosi far re di Napoli, di ricorrere a questo espediente a malgrado les bonnes coutumes de chevalerie, in vigore a quei tempi.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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