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      Tolsi licenza, e mi parve dovere metter la vita in difesa de' reali di Raona che da tant'anni ci governavano. Venni a Capua; si mettevano in ordine le genti d'arme, e dal conte Bosio di Monreale che avea il carico del presidio, fui condotto e comandato alle difese della città. Le munizioni erano tutte in pronto, e per allora, non essendovi altro da fare, attendevamo a darci buon tempo. La sera si faceva la veglia in casa del conte, il quale, amico già di mio padre, mi teneva come figliuolo. Già prima d'andarmene col duca di Milano, spesso gli capitavo per casa. Ivi conobbi una sua figlioletta, e così fanciulli senza saperne più in là, ci portavamo maraviglioso amore. Il giorno ch'io mi mossi per andare in Lombardia, furono i pianti e le dipartenze inestimabili: io mi ricordo, cavalcava un giannetto, il migliore che fosse mai, e nell'andarmene passai sotto le finestre di lei, che si domandava Ginevra, e benissimo atteggiavo il cavallo nel dirle addio colla mano; ella mi gettò di nascosto del padre e d'ognuno, perchè appena faceva giorno, una fascia azzurra che non ho mai lasciata d'allora in poi.
      Ma queste erano cose da scherzo. In un anno ch'io stetti fuori mi s'era assai freddato questo primo amore. Tornato come ti dico, e riveduto Ginevra, che avendo messa persona era divenuta la più bella giovane del reame, aveva assai buone lettere, e cantava sul liuto che non avresti voluto sentir altro, non potei tanto schermirmi ch'io non ricadessi l'un cento più nel maggiore e più forsennato amore che s'udisse mai.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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