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      Dovea ripassare per Santa Cecilia. Giuntovi s'avvide d'una compagnia d'uomini armati che era ferma davanti la porta, e sulle prime credette fosse la corte. S'andò accostando pianamente muro muro, finchè giunto ad appiattarsi vicino a loro s'accorse che non era la corte altrimenti. Erano da trenta pezzi d'arme tra picche e spadoni a due mani. In disparte una lettiga vuota portata da due uomini. E quello che pareva lor guida stava guardando verso la chiesa, serrato nel mantello, e si mutava or s'un piede or s'un altro in atto d'impazienza. Poco stante uscirono due come famigli, ed accostandosegli dissero: "Eccellenza, la cassa è sconfitta e vuota!...".
      Fu tanta la potenza di queste parole, che scioltosi colui dal mantello percosse con una lanterna, che teneva sotto, sul capo del servo, e se lo fe' cadere ai piedi; e l'altro, a non essersi cacciato a correre, avrebbe avuto di peggio, che già colui aveva posto mano alla spada. Dopo molto tempestare gli convenne partirsi scornato.
      Franciotto avea notato fra quegli armati uno in cappa e mantello alla curiale, ed al lume di certi torchi che avean con loro, riconosciutolo per quel ribaldaccio di maestro Jacopo da Montebuono. La presenza di costui in tal luogo, ed in tal compagnia, gli fece nascer di strani sospetti.
      Quando si furono avviati, tenne loro dietro alla lontana, e invece d'andar pel barbiere, fece disegno sul sopradetto maestro Jacopo. Solo dubitava non si facesse accompagnare sino all'uscio da alquanti di costoro. Ma, come a Dio piacque, abitando al principio della Longara, quando fu a Ponte Sisto, per esser così breve tragitto, lasciò andar gli altri che passarono il ponte, ed egli s'avviò a casa sua.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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