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      Ma non dormivo io. Ben conoscevo ch'era pazzia lo sperare volesse indursi a rimanere meco; e che a mio, e forse a suo malgrado, pure avrebbe voluto tornarsene col marito, appena le sue forze gliel'avesser concesso. Onde spedii velocemente a Roma Franciotto ad informarsi in che termini si stesse colą, e come vi fosse intesa la cosa.
      Tornņ verso sera, recando la nuova che il Valentino s'era levato colle sue genti, ed avviato verso Romagna, ed avea menato con sč Grajano e la compagnia. Non si sapeva quale impresa fosse per fare dapprima.
      Ne feci motto alla Ginevra, la quale, udito da me alla fine quanto le fosse occorso, ondeggiava in varii pensieri senza sapere a che risolversi. Con molte parole le mostrai che in modo nessuno le conveniva tornarsene a Roma, ove il Valentino avrebbe con facilitą potuto trovarla, ed emendare il primo colpo fallito: che suo marito, avvolto nelle faccende della guerra, e tutto cosa del duca, difficilmente avrebbe potuto, anche volendo, servirle di difensore: e poi come, dove rintracciarlo? La pregavo, con affetto grandissimo, non volesse andar contro ad una quasi divina disposizione, che per istrade tanto fuor delle ordinarie ci aveva riuniti, togliendola da una condizione piena d'insidie e di pericoli: pensasse che, levandoci di qui, potevamo per la supposta morte condurci senza sospetti in parte ove libera e tranquilla potrebbe almeno aspettare e vedere dove andasse a parare la sua fortuna e quella di suo marito; ed alzando la fede le dissi queste formate parole:


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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