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      Una pratica tanto gelosa, e della quale se fosse trapelato nulla alla parte francese, al certo si trovava disfatto, non poteva esser commessa alla fede d'alcuno. Per questi rispetti era partito occultamente da Sinigaglia, e s'era condotto a Barletta.
      Mancava un'ora all'alba, ed il Valentino, che aveva di quei temperamenti ferrei ai quali non è quasi necessario il riposo, si alzò, chiamò D. Michele che già stava in orecchi per non esser tardo, e consegnandogli una lettera gli disse:
      - Questa a Consalvo. Daratti un salvacondotto. Se ti domanda di me, io non sono in Barletta, ma son presso. Jer sera da quei soldati, che facean gozzoviglia qui sotto, seppi il fatto di Ginevra al tutto. Ora son certo che quel Fieramosca l'ha seco, o non lontana: e suppongo in parte ove si va per mare. Prima di vespro vo' saper dov'è. Trova Fieramosca, e fa che non mi fuggano.
      D. Michele ricevette la lettera e gli ordini del suo signore senza profferir parola. Tornò in camera, si vestì, e quando fu giorno chiaro, tiratosi in capo il cappuccio s'incamminò alla rôcca.
      Mentre D. Michele usciva, il duca s'era fatto alla finestra, e lo seguitava guardandolo di malissimo occhio, e facendo un viso che ad altri avea presagito sventure. Eppure fra quanti ribaldi avesse al suo servizio, e n'aveva di segnalati, nessuno potea dirsi tanto l'anima d'ogni sua impresa quanto costui; e se può albergar fede in un suo pari, certo e' n'aveva data prova al suo signore in occasioni di somma importanza. Ma appunto per avergli obblighi grandi, e per non potere, senza tagliarsi un braccio, spegnerlo a sua posta, Cesare Borgia l'odiava.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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