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      Ginevra allora si rifuggiva in chiesa. Non vi trovava allegrezza, non pace, ma almeno qualche momento di consolazione.
      La sua preghiera era breve e non variava mai. Vergine Santissima, diceva: fate ch'io desideri non amarlo: e talvolta aggiungeva: fate ch'io mi risolva a cercar di Grajano, e desideri trovarlo; ma spesso le mancava il cuore di profferir questa seconda preghiera.
      Dal ripeter di continuo quelle parole, ne avveniva talvolta che cogliesse se medesima nel pensiero di Fieramosca, appunto nel momento in cui la sua lingua pregava onde poterlo dimenticare. Allora sospirava, piangeva, ma scorgeva anche troppo qual fosse in lei la volontà più potente. Quel giorno tuttavia, per uno di quegli alti e bassi che sono nella nostra natura, le sembrò di potersi finalmente risolvere al miglior partito. L'idea d'una malattia che la sua salute cadente le mostrava vicina; l'idea della morte fra i terrori di una coscienza non pura, sopravvenne in un momento di titubanza, diede il tratto alla bilancia, e le fece prender la risoluzione d'informarsi di Grajano, e scoperto dove fosse, tornar con lui, in qualunque modo, ad ogni costo. Se Fieramosca fosse stato presente, gli avrebbe dichiarata la sua risoluzione allora allora, senza dubitar un momento; ma, disse, alzandosi per uscir di chiesa: "Questa sera verrà e saprà tutto".
      Le monache, finito il coro, uscivano tacite alla sfilata per una porticella che dava nel cortile del chiostro, e tornavano nelle loro celle.
      Ginevra s'avviò dopo di loro.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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