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      Adagiatisi ivi ambedue al raggio argenteo della luna, che già vinceva la luce purpurea del crepuscolo, Fieramosca prese a favellare.
      - Ginevra mia, rallegrati; oggi è stato giorno di gloria per l'Italia e per noi, e se Dio non nega favore alla giustizia, sarà principio di gloria maggiore. Ma ora fa mestieri adoprar fortezza: oggi devi mostrarti tale da servir di esempio alle donne italiane.
      - Parla, - rispose la giovane guardandolo fisso, come per studiare la sua fisonomia, e leggervi anticipatamente qual prova s'aspettasse da lei: - son donna, ma ho cuore.
      - Lo so, Ginevra, e dubiterei che il sole si levasse domani, prima di dubitar di te... - e le narrò la sfida, esponendone minutamente l'origine, la gita al campo francese, il ritorno, il combattimento che si preparava: e quanto animose fossero le sue parole, quanto accese d'amor di patria e di gloria, quanto la presenza di Ginevra rendesse più vivo quel fuoco, lo sanno quei lettori che hanno sentito il cuore batter più rapido, parlando di operar generoso a prò della patria con donna capace di ugual sentimento.
      A mano a mano che Ettore si veniva spiegando (crescendo sempre di forza nel dire, nella voce e ne' gesti) il respiro di Ginevra diveniva più frequente; il seno, come fa una vela investita dai soffi d'un vento che incalza, si alzava e s'abbassava gonfio di affetti impetuosi, discordi, ma però tutti degni di lei; gli occhi, che parevan temperarsi a seconda delle parole del giovane, s'accendevano, gettavan faville.
      Alla fine colla mano bianca e gentile afferrò l'elsa della spada di Fieramosca, ed alzando la faccia arditamente, diceva:


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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