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      - Se avessi il tuo braccio! se potessi far fischiare questa, che reggo appena! non anderesti solo: no! e non mi toccherebbe forse di sentirmi dire, hanno vinto gl'Italiani, ma v'è rimasto... Oh, lo so, lo so. Vinto non ritornerai... - e qui presa dal pensiero del vicino pericolo non poteva frenare una pioggia di lagrime; alcune delle quali caddero sulla mano di Fieramosca:
      - Per chi piangi? Ginevra, vorresti per cosa del mondo che non s'avesse a combattere questa sfida?
      - O no, Ettore: mai, mai! Non mi far questo torto: ed asciugando le lagrime, sollecita seguiva: non piango... ecco, è finito... è stato così un momento... Poscia con un sorriso, che le palpebre ancor umide rendevano più bello, diceva:
      - Mi son voluta far troppo brava a parlar di spade e di battaglia, poi ecco mi fo scorgere; me lo merito.
      - Le donne del tuo taglio possono far fare miracoli alle spade senza toccarle; potreste voltar il mondo sottosopra... se sapeste fare. Non parlo per te, Ginevra, ma per le donne italiane, che pur troppo non ti somigliano.
      Quest'ultima frase fu udita da Zoraide sopraggiunta con un canestro pieno di frutta, di focacce, di mele e di altre gentilezze: lo teneva infilato nel braccio sinistro, e nella mano destra portava una boccia di vin bianco. I panni che vestiva eran tagliati all'uso d'occidente; si scorgeva però nella scelta de' colori tutti vivissimi, e nel modo bizzarro di disporli, il gusto de' paesi ancor barbari onde aveva l'origine. La sua testa, conservando ancora le fogge d'oriente, era coperta di bende attorcigliate, i capi delle quali le cadevan sul petto.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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