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      Era una landa deserta, sterile, sparsa di macchie nane, che sempre più si facevan selvatiche. Il sentiero che seguivano presto si perdette in un sabbione ove s'affondava sino a mezza gamba; di tratto in tratto trovavan letti di torrenti asciutti, pieni di ghiaja e di macigni rotolati dalle acque; ma i due viandanti superando queste difficoltà erano in disposizioni d'animo assai diverse.
      D. Michele, avvezzo a camminar più la notte che il giorno, precedeva con passo sicuro. L'altro, che in vita sua non s'era forse trovato due volte fuor di città dopo l'avemaria, gli s'andava ingrossando il respiro, si guardava attorno, ed in cuore malediceva il momento in cui s'era partito di casa: e per verità fu la, mala uscita per lui. D'una in un'altra immaginazione si veniva empiendo di mille paure, e non era minore dell'altre quella di trovarsi solo, lontano dall'abitato, di notte, con un uomo che alla fine non sapeva chi fosse.
      Pure ogni tanto voleva rinfrancarsi, e sotto voce cantarellava tre o quattro sillabe (per la quinta non si trovava fiato); poi gli pareva aver udito strepito fra quei macchioni, ove al poco chiarore della luna annuvolata credeva veder da lungi ora appiattato un uomo, ed avvicinandosi era un tronco od un sasso; ora qualche forma o visione di trapassati, e piano piano diceva un requiem o un deprofundis; ed in queste buone disposizioni si trovarono in uno slargo del bosco nel mezzo del quale sorgeva la chiesetta.
      Sulla porta v'eran certi scheletri dipinti, ritti ritti, con mitre, triregni e corone in capo, e tenevano in mano cartelloni svolazzanti, sui quali erano scritti versetti latini, come Beati mortui qui in Domino moriuntur; Miseremini mei, etc.; e quantunque a lume di luna con fatica si potessero leggere, le figure de' morti visibilissime producevano da sè un bastante effetto.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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