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      In una parete era una porta bassa e nana, tutta ferrata di chiavistelli; fu aperta, ed una voce disse a D. Michele: "Va dentro". S'abbassò egli per entrare, e mentre con un piede innanzi tentava se vi fossero scalini, una spinta nelle reni data col calcio d'una picca lo fe' giungere più presto che non avrebbe voluto al fondo di una scaletta, ed in modo che gli sarebbe stato impossibile di trovar il conto degli scalini discesi. Un chiavistello che andò al suo luogo cigolando, avvertì D. Michele che per la porta non v'era speranza d'uscire.
      Il luogo era oscurissimo. Cominciò col tastarsi la bocca che gli doleva forte pel pugno ricevuto; ne ritrasse le mani bagnate (capì che dovea esser sangue), e scoperse che d'allora in poi non dovea calcolar più su trentadue denti, ma soltanto su trenta.
      - Se il diavolo t'avesse strozzato te e tuo padre, com'era obbligo suo, questi non sarebbero stati seminati alla macchia, disse rivolgendosi colla mente a chi l'avea messo a quest'impresa.
      Pure fece ogni opera per farsi animo, ed aperte le braccia tentò di scoprire ove fosse. S'accorse che da una buca su in alto usciva un debol lume, e gli parve sentir al di fuori frangersi contra il muro l'onda marina. Tastando co' piedi trovò in un angolo il morbido d'un po' di paglia; vi si sdrajò, e stette aspettando ciò che la fortuna gli prometteva.
     
     
     
      CAPITOLO X.
      Il lettore avrà senza dubbio indovinato che lo spettro non era altri che il caposquadra Boscherino.
      Gli rimane a sapere come la banda de' venturieri si fosse trovata pronta per turbare la frode ordita da D. Michele.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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